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Commenti

  • Paola Biasin ha scritto Altro
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Ti meno per ripetere la crudeltà di chi mi ha preceduto.

Ma ho paura di me stesso!

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Fermare questo uso improprio dei metodi correttivi è dunque un'impresa culturale a vasto raggio che richiede luoghi formativi dove qualcuno si possa prendere cura della sofferenza intergenerazionale sia che essa sfoci nella passività del genitore che subisce il figlio tiranno sia che arrivi, all'opposto, alla sottomissione del bambino tramite la tortura che genera paura.


Tra le pareti domestiche si consumano molti delitti. E se uccide più la famiglia che la mafia, dissemina più violenza la vita domestica che la corrotta società post moderna. Troppo spesso i bambini assistono alle scenate di madri infelici e alle sfuriate di padri scontrosi. Troppi coniugi immaturi si demoliscono con parole aggressive e con gesti umilianti di fronte a figli attoniti, impauriti, rabbiosi.
Assistita o subita, la relazione violenta entra nella mente dei piccoli annichilendo il senso della solidarietà umana, disorganizzando la vita psichica, violando il valore del legame.
Una coppia che non si rispetta finisce per picchiare anche la prole.
Il dare sberle è un linguaggio del corpo a corpo appreso nelle rispettive famiglie d'origine. L'elargire ceffoni è dunque un modo di comunicare che si rinnova di generazione in generazione. Quasi sempre al di là della volontà. È il mondo emotivo che fa da padrone.
Il genitore rivive il trauma subito. La situazione relazionale fa riemergere l'angoscia dell'impotenza. Un bambino che sfibra, ossessiona, disobbedisce sollecita il puer interno ferito rimasto sopito nel genitore, figlio impotente. Lo risveglia. Lo ridesta. Lo riporta dentro all'antica storia familiare che lo ha visto sottomesso, umiliato, percosso.
Il bambino maltrattato di un tempo ora però può ribellarsi. Può difendersi. Può avere una rivincita. E la mano - un tempo inutile perché inoffensiva- , ora si scaglia contro il copro del figlio con tutta la sua potenza.
La rabbia compressa esplode, deflagra, inonda l'ambiente.
Gli arti si alzano e colpiscono, colpiscono, colpiscono. Percuotono e scalciano tanto quanto avrebbero voluto poter fare durante la propria infanzia.
Quel genitore che picchia è in realtà un bambino vessato, malmenato, tartassato.
Madri e padri, per educare, usano le botte come armi poiché su di loro sono state, un tempo, duramente puntate.
Si sa che la violenza non genera che altra violenza. Brutalità agita e subita. Struttura sadica o masochista. Modo di essere sempre aggressivo. Fermare questo uso improprio dei metodi correttivi è dunque un'impresa culturale a vasto raggio che richiede luoghi formativi dove qualcuno si possa prendere cura della sofferenza intergenerazionale sia che essa sfoci nella passività del genitore che subisce il figlio tiranno sia che arrivi, all'opposto, alla sottomissione del bambino tramite la tortura che genera paura.
Questo non giustifica madri e padri violenti, bensì li richiama alla necessità di lasciarsi aiutare.
Non è la volontà di tenere le mani a posto quella che manca, ma se il genitore non percorre un cammino che rivisiti il trauma le sue mani non stanno alloro posto.
Rita è una giovane donna denunciata da una vicina di casa per aver picchiato ripetutamente la figlia di undici anni. La bambina ha confermato i fatti incresciosi alle maestre e a una psicologa. Alcuni reperti del pronto soccorso dimostrano che nel passato la ragazza ha subito anche delle lesioni gravi, ora viste come di dubbia natura.
Una sera i carabinieri si presentano a casa di Rita e Giacomo. Prendono in custodia Elisa, la figlia maltrattata. La casa rimane vuota. La signora è disperata. Vuole suicidarsi. Il marito la accompagna da me su indicazione di una collega.
La signora piange e nega i fatti. Sa solo ripetere: "Senza Elisa la mia vita non ha alcun senso. lo voglio morire, voglio morire, presto morirò. Stasera mi butto giù dal ponte". Per me non è facile accogliere così tanto dolore, rabbia, paura, impotenza. La legge ha fatto il suo corso e Rita si sente senza parole, senza vita, senza consistenza. È su questa rabbia per l'impossibilità di difendersi, di portare il suo punto di vista, di affermare la sua versione dei fatti che provo ad aprire un dialogo. Cerco di parlare a quella donna che è spaventata dal non poter fare nulla per vedersi restituire subito la figlia, ma anche a quella bambina che, un tempo, deve essersi disperata di fronte a chi non la ascoltava. Ed è il mio autentico partecipare al suo dramma, pur raccontato inizialmente senza parole, che mette in moto la relazione, che ridona a Rita la fiducia di poter essere compresa. Che la fa ancora sperare. Inizia la consulenza.
Di seduta in seduta ricostruiamo come le fosse insopportabile incontrare una Elisa che non la ascoltava. Ogni disobbedienza andava dunque punita. E più Elisa la provocava non rassegnandosi più Rita doveva aumentare la dose di punizione. Furono prima sculaccioni, poi ceffoni, dopo botte, infine sfregi con oggetti contundenti i mezzi per farsi ascoltare.
Elisa non si piegava facilmente. La madre doveva educarla. Con le punizioni corporali le insegnava le cose giuste. Senza tollerare nessuna ribellione. Ogni trasgressione diventava una totale perdita di senso per la mamma che lei voleva essere. Non accettava di stare in una casa disordinata come quella nella quale era cresciuta. Non voleva una figlia poco brava a scuola come era stata lei stessa perché mai seguita nei compiti. Non tollerava una ragazzina vestita in modo provocante, lei che si era sentita apostrofare come puttana da un padre irato quando, a diciotto anni appena compiuti, era scappata di casa per congiungersi con l'attuale marito. Lei voleva uscire dal suo passato di emarginazione e di trascuratezza. Lei avrebbe vissuto una esistenza degna di essere chiamata vita e la figlia non gliela poteva rovinare comportandosi male, facendo di malavoglia le lezioni per casa, comperandosi dei jeans stretti... Rita l'avrebbe raddrizzata. Nessuna empatia per Elisa. Nemmeno nel lungo periodo durante il quale la minore è stata ospite di una zia compassionevole resasi disponibile ad accudirla affinché non finisse in una comunità. Mi ci è voluta tanta empatia per aiutare questa donna violenta con la figlia e con me. Infatti disattendeva agli appuntamenti, non pagava le sedute, esigeva continui scambi di orario ... insomma mi provocava come fa ogni bambino maltrattato. Mi ci è voluta tanta benevolenza per ridarle la possibilità di identificarsi con la sua bambina, riaccoglierla poco a poco a casa, comprenderla senza accusarla. Il percorso per aprire un dialogo tra madre e figlia dopo la frattura e la condanna penale è stato difficile, ma possibile. Ora sono di nuovo insieme.
A un dramma venuto alla luce del sole corrispondono migliaia di storie terribili vissute nel privato delle case. Riguardano genitori amorevoli che esplodono improvvisamente facendo vivere al figlio un sentimento di paura, terrore, angoscia poiché ciò che gli sta accadendo non ha senso. È la mancanza di significato del gesto subito che rende insicuri. È lo smarrimento per una ingiustizia che riempie di rabbia. È la delusione inferta da chi ti amava e amavi che toglie ogni certezza.
Sono queste storie di madri qualsiasi ascoltate, vissute, patite nella stanza di consultazione alla famiglia.
Brave madri. Mamme carnefici. Donne vittime. Bambine rimaste irrisolte nel mondo interno e totalmente tristi e infelici nel mondo esterno.
I padri vengono meno in consulenza a raccontare le loro disavventure. La loro violenza rimane più nascosta. Ma conosco bene la sofferenza dei loro figli. Sono dei giovani che arrivano da me smarriti, senza identità, furiosi. Grumi di rabbia escono da loro come lava incandescente. Lacrime e parole misurate curano le ferite inferte da papà che perdendo improvvisamente la testa hanno picchiato senza senno i figli. Papà infinitamente buoni che si trasformano in padri indiavolati di fronte a un figlio che chiede di esistere. Papà amorevoli che se viene ferito il loro narcisismo annientano, distruggono e cancellano - a suon di schiaffi - il figlio ribelle.
Sono storie tristi che però ci danno la speranza di fermare la catena di violenza fisica che, contrabbandata impunemente da secoli come forma educativa, ora deve essere definitivamente arrestata.

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Paola Scalari
è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

"Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.